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La Storia della Sicilia

 
 
 

La storia e la cultura della presenza Ebraica in Sicilia

 

La Sicilia è stata abitata da ebrei fino dai primi secoli e tale presenza si è protratta fino al 18 giugno 1492, quando l’editto del re di Spagna ordinò la cacciata di tutta la popolazione ebraica presente nel suo regno. Le comunità costituite in tutta l’isola, erano frattanto molto prospere e costituivano un valido perno per l’economia e la cultura anche medica dell’intera isola. (una valida testimonianza di tale presenza viene fornita da Messaoth Binjamin, "I viaggi di Beniamino", il diario tenuto dal mercante ebreo Benjamin da Tudela durante il viaggio che compì nella seconda metà del XII secolo, nel corso del quale visitò le comunità ebraiche dell'intera penisola). La lunga permanenza dei siciliani di religione ebraica nella terra di Sicilia, ha lasciato tracce indelebili della presenza ebraica. La stessa ormai si manifesta in pochi simbolici ornamenti, ma anche in interi quartieri che ancora resistono alle intemperie del tempo, all’incuria delle genti e al volontario occultamento di religioni avversarie all’idea religiosa ebraica. Importanti sono le testimonianze archeologiche quali il più antico Aron d'Europa, i più antichi Rimmonim del mondo, una delle prime sculture figurate dell'arte ebraica, le steli funerarie medievali, o impronte librarie e archivistiche (il più antico manoscritto di qabbalah, il primo ritratto di un giudeo, l'unico Siddur siciliano, le traduzioni dei trattati di medicina araba da parte degli ebrei siciliani). La presenza ebraica nell’isola, sul finire del XV secolo, si attesta in 37.000 persone circa, delle quali più della metà vivevano in sei città: Palermo (5.000), Siracusa (5.000), Trapani, Marsala, Messina e Sciacca. In seguito alle vicende storiche succedute all'espulsione del 1492, nel corso dei secoli si è pervenuti a una situazione per la quale in Sicilia, parzialmente disperse le comunità formatesi nell’Ottocento a seguito dell’antisemitismo fascista, non esistono più vere e proprie comunità e sinagoghe e, al giorno d'oggi, i singoli fedeli e le famiglie ebraiche dell’isola non superano le poche decine di unità, pur iniziando timidamente a riorganizzarsi con rinnovata integrazione al tessuto sociale. Dopo Israele, pare che la Sicilia sia il luogo in cui sono presenti in forma più ricca i giacimenti culturali della tradizione ebraica, risalenti alle comunità che per 1500 anni convissero ed interagirono con la nostra civiltà; per altro, la Sicilia potrebbe configurarsi come il luogo nel quale la memoria, la cultura e le tracce della presenza giudaica sono state sistematicamente rimosse dalla coscienza della popolazione, attraverso un processo di cancellazione storica e delegittimazione culturale iniziata con l’Editto di Espulsione del 1492. Importante, oggi è procedere ad una attività di recupero alla memoria un millennio e mezzo della nostra storia. Ciò è della massima importanza in contrapposizione al desiderio di dimenticare, praticato con metodica perfezione, il tutto al fine ridare voce e cittadinanza all’ebraismo, riconoscendolo come una delle componenti essenziali dell’identità collettiva delle genti di Sicilia. Ciò per le nostre idee progettuali significa individuare dei comprensori di giudecche che fungano da contenitori culturali per gli studi e le ricerche e per le attività di recupero e la valorizzazione di siti e costumi delle giudecche dell’epoca."

Rilevanza storica del ruolo socio-economico dell’ebraismo siciliano prima dell’espulsione spagnola

 

Secondo alcuni, i primi Ebrei arrivarono in Sicilia insieme con i Fenici che non si sarebbero limitati a colonizzare alcune zone occidentali dell’isola ma, oltre Mozia e Palermo, avrebbero fondato anche Siracusa. Secondo l’archeologia, in particolare, il primo ebreo siciliano è documentato dalle catacombe di Roma: Amachios da Catania, che visse intorno al III sec. a.e.v. e portò un nome greco corrispondente alla traduzione di Shlomo. L’ipotesi della colonizzazione fenicia, anche se attualmente non sostenuta da prove archeologiche dirette, consentirebbe di affermare le origini semite della nostra terra (tra i migliori scritti in proposito appaiono degni di menzione l'opus major di Bernabò Brea e l'affascinante saggio Siracusa e l'Odissea di Sergio Caciagli) e conforterebbe l'etimologia fenicia proposta dall'Holm per il nome della città: Syrakó, l'orientale (se si trascurasse la data di fondazione della città e l'esistenza di più "Siracuse" come accenna anche Tito Livio). Dopo la conquista della Sicilia da parte degli Arabi, importanti Comunità ebraiche si formarono nell’isola e, allorché nel 1282 ebbe inizio la dominazione spagnola, ebbero una sorte legata alle vicende iberiche. Come si legge dagli scritti del XII sec. (il secolo d’oro della letteratura ebraica) di Beniamino da Tudela (Navarra) noto come “il Marco Polo dei Giudei”, gli Ebrei siciliani esercitavano quasi esclusivamente l’arte dei tessitori e dei tintori, una professione di cui rimase l’eco in alcuni cognomi di Ebrei d’origine siciliana (come Croccolo e Cremisi) e nella denominazione dell’imposta loro spettante, detta appunto tassa dei tintori. Quest’arte scomparve dall’isola alla fine del Medio Evo, con la cacciata degli Ebrei dalla Sicilia, che erano in tutto 37 mila, di cui circa 3 mila nella più importante Comunità di Palermo. La presenza di ebrei in Sicilia è stata documentata, da parte degli storiografi e degli eruditi, già a partire dal periodo repubblicano (Cicerone scrive di ebrei presenti in Sicilia e Filone Alessandrino sostiene che molti ebrei si trasferirono nelle isole del Mediterraneo, a seguito dell’espandersi dell’impero romano e con l’aumento del numero delle sue province). Il Mezzogiorno d’Italia, affacciato sul Mediterraneo, aveva fitti contatti con i paesi rivieraschi (gli scambi mercantili sono anche scambi culturali) e fu per questa ragione che per quattro secoli vi si sviluppò una florida colonia ebraica. Il dominio arabo in Sicilia fu, per l’epoca, assai liberale e l’unica misura restrittiva disposta nei confronti degli ebrei era un segno giallo sulle vesti. Anche quello normanno consentì agli ebrei di condurre una vita relativamente normale e di espandersi socialmente e culturalmente, inserendosi nel tessuto circostante (ovunque vigeva il loro potere, gli ebrei avevano scuole, sinagoghe, botteghe artigiane, ospedali), poiché l’elemento giudaico costituiva il necessario propellente allo sviluppo economico dei dominî normanni, in quanto l’uso della lingua ebraica facilitava i contatti con i correligionari di altri paesi, e quindi i traffici marittimi. In particolare, quando Gerusalemme cadde in mano a Roma, alla fine degli anni cinquanta a.e.v., vi fu un forte flusso migratorio di ebrei, all’interno dell’area del bacino del Mediterraneo. Inoltre, il Di Giovanni riporta la notizia che un nuovo incremento del numero di ebrei nelle province romane, avvenne dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.e.v. I primi secoli d.e.v., videro quindi un ulteriore accrescimento della presenza di ebrei in Sicilia. Molti di questi, giunsero nelle città costiere sulle navi da carico romane e in condizioni di prigionia, e furono impiegati nelle attività ludiche e nei giochi circensi dei teatri siciliani di Palermo, Siracusa, Catania, Taormina e delle altre città isolane, poste sotto il controllo della Roma imperiale. Mentre altri, una volta fatti prigionieri, andarono schiavi al servizio di padroni romani, rendendo i loro servigi alle famiglie abbienti. Accanto a questi, però, molti altri giunsero in Sicilia in maniera autonoma, pagando il viaggio generosamente. In effetti, diversi gruppi di ebrei dopo la distruzione del Tempio, fuggirono in Egitto e qui si stanziarono; sino a che in un secondo momento, presa la decisione di spostarsi nuovamente, andarono in Sicilia, incoraggiati dall’uso di una lingua ad essi nota. Altri migrarono dalla penisola iberica. La zona costiera della Sicilia ionica, pur essendo sotto il potere romano, continuò a mantenere integre le tradizioni linguistiche del periodo greco. A Taormina e nelle zone vicine si parlò il greco dorico, sin dopo la conquista da parte degli Arabi. E la lingua greca era già saldamente radicata nel territorio quando, intorno al IV secolo, venne dato l’avvio alla cristianizzazione della cittadina. Perciò, la possibilità per gli ebrei di poter continuare a parlare la loro lingua, dato che anche in Egitto era in uso il greco, fece sì che per i nuovi venuti ci fossero maggiori opportunità d’integrazione con il resto della popolazione. Quando, intorno all’anno 1000, in tutti i paesi cristiani vennero istituite le Corporazioni di arti e mestieri (per appartenere alle quali bisognava professare la fede cristiana), in Italia e in tutta l’Europa gli Ebrei, esclusi da ogni a campo di attività, si convogliarono verso la remunerativa professione di banchieri che ai Cristiani era preclusa dal III Concilio Lateranense: facendo commercio di denaro, si resero necessari ovunque, e furono pertanto ovunque tollerati. A partire da allora, fu per gli ebrei tutto un susseguirsi di politiche papali più o meno avverse o tolleranti, attraversando diversi concili, pestilenze, esigenze economiche e commerciali. Al 1492 risale l’ordine di espulsione degli Ebrei dalla Spagna, e al contempo dalla Sardegna e dalla Sicilia: la maggioranza di essi si rifugiò nelle città dell’Italia Meridionale fino all’ingresso degli Spagnoli nel Regno di Napoli, dopo il quale le fiorenti Comunità ebraiche antiche di Napoli, Trani, Nola e Bari scomparvero per riversarsi a Roma (vi sorsero le piccole Sinagoghe siciliana e aragonese), nel Levante e in Turchia o a Corfù (ancora oggi gli Ebrei corfioti parlano un dialetto pugliese misto a veneto). Seguita da Roma, Venezia istituì nel 1516 il primo ghetto del mondo (la stessa parola "ghetto", poi diffusa in tutta l’Europa, è di origine veneta: così si chiamava il quartiere destinato ad abitazione per gli Ebrei, perché era situato accanto a una fonderia). Appare degno di nota come, all'epoca dell'editto di espulsione promulgato dai "cattolicissimi" sovrani di Spagna prigionieri di quel sueño de la razón temuto dal Goya (editto già redatto a Toledo dodici anni prima e promulgato solo quando gli ultimi Arabi erano stati respinti dal territorio di Spagna con la conquista di Grenada), ovvero il 31 marzo 1492 (termine ultimo prorogato al 31 dicembre 1492), vi erano in Sicilia cinquantadue comunità ebraiche per un totale di circa centomila individui (ed era il medesimo anno 1492 nel corso del quale degli ingegneri ebrei avevano realizzato la prima prospezione mineraria della Sicilia, attitudine confermata dalla presenza di esperti di materiali ferrosi entro la popolosa comunità ebraica a Trapani, dedita al commercio del ferro con la Spagna e l’Elba, luogo da cui partì la prima lettera di cambio mai realizzata al mondo indirizzata dai commercianti israeliti alle coste Maghrebine).

La cacciata delle comunità ebraiche dalla Sicilia

 

Il 18 giugno 1492, Ferdinando il cattolico e Isabella di Castiglia presero una decisione grave che in seguito ebbe sviluppi tragici nell’economia del regno spagnolo e in Sicilia allora già vicereame: un gesto di fondamentalismo cattolico fu l’editto che impose senza condizioni che gli ebrei dovessero abbandonare per sempre la Sicilia entro tre mesi, pena la morte. Gli ebrei erano vissuti in Sicilia dai tempi biblici e la Trinacria era stata una delle terre più importanti in cui si erano fermati, una volta partiti dalla Palestina all’inizio della diaspora nel 70 d.e.v. La Sicilia era abitata, fino all’anno 1492, da un numero d’ebrei, in percentuale alla popolazione residente, superiore a quelli presenti in qualsiasi altra regione o stato europeo o del bacino del mediterraneo (percentuali di presenza purtroppo incerte nel territorio siciliano, ma oscillanti secondo cifre controverse di stima da un minimo del 5% per città ad un massimo del 50%, che si raggiunse a Marsala). Nel 1492 Ferdinando il cattolico era entrato vincitore nella città di Granada, vincitore della guerra di riconquista contro i musulmani, liberando così la Spagna definitivamente dal popolo arabo: i piccoli e grandi banchieri ebrei, in quanto da sempre popolo sottomesso, avevano finanziato la guerra di Ferdinando il cattolico contro i mussulmani di Spagna e segretamente aiutato economicamente il governo islamico in Spagna contro lo stesso Ferdinando (perché non a torto riconoscevano ai musulmani una disponibilità ed una tolleranza nei loro confronti certamente più favorevole dei governanti cattolici). Gli ebrei erano sempre considerati come gli eredi di quel sinedrio che aveva condannato Gesù alla morte (un pregiudizio che costò loro una persecuzione ingiusta e fino ad oggi viva nell’immaginario collettivo), ed in più erano particolarmente mal tollerati in quanto praticavano il prestito di denaro su pegno. Di fronte all’editto di espulsione, se si decideva di rimanere, bisognava chiedere il battesimo e convertirsi definitivamente al cristianesimo: si doveva accettare il cristianesimo o abbandonare la Sicilia e la Spagna, vendere i beni mobili ed immobili entro tre mesi, oppure rimanere e rinnegare l’antica fede. In realtà sembrerebbe che per Ferdinando sia stata più una rivalsa post bellica che non una manifestazione di fede cattolica. Già prima del 1492, operò anche in Sicilia, il tribunale dell’inquisizione, definito “Della Santa Inquisizione”, perché fregiandosi di tale aggettivo, potesse andare assolto da ogni nefandezza e persecuzione illegale, che spesso portava alla condanna a morte delle sue vittime, troppo spesso di religione ebraica. Così la chiesa di Roma continuava a cavalcare il mito dell’unica confessione religiosa presente nel mondo civile conosciuto a quel tempo. Tale atteggiamento prevaricatore ed assolutista, continuò nei secoli, anche dopo l’unità d’Italia ove con la costituzione della Repubblica Sabauda si consolidò in Italia l’antico dominio ideologico religioso. Tale atteggiamento invasivo politico-assolutista, si concretizzava nel disporre costanti e silenziose iniziative quando di distruzione, quando di acquisizione di tutte le testimonianze ebraiche che soprattutto in Sicilia potessero fare ritornare alla memoria la storia di un popolo siciliano, che per molti secoli rese lustro all’arte medica, ai mestieri, alla cultura ed all’economia isolana. Dopo le ricerche del Di Giovanni e dei Lagumina, per circa un secolo interesse storico per la fede ebraica siciliana fu quasi del tutto sopito. Solo dopo il 15 giugno 1992, a seguito del noto convegno “Italia Giudaica – gli ebrei di Sicilia sino all’espulsione del 1492”, si innescò il grande interesse degli storici verso la storia degli ebrei di Sicilia. La quantità d’ebrei in uscita dalla Sicilia non è stata mai accertata neanche con una credibile approssimazione, ma probabilmente i poveri preferirono cercare nuove terre, mentre molti ricchi ebrei si convertirono apparentemente al cristianesimo (la vendita con premura non sarebbe mai stata un buon affare, specialmente con compratori consapevoli della grave situazione dei legittimi proprietari diffidati ad andarsene): molti andarono a Napoli, altri certamente in Nord-Africa, nella città di Salonicco, nelle isole del Dodecanneso, altri sparsi per il mondo come vuole una tradizione antica e modernissima che vede questo popolo perseguitato ed errante in tutte le direzioni. Il sultano ottomano inviò in Spagna e Sicilia, a più riprese, un’intera flotta per accogliere come profughi in Turchia i giudei cacciati, e questa terra (in particolare Istanbul) è ancora abitata dagli eredi di Spagnoli e Siciliani emigrati: non fu solo un atto d’umanità, poiché le autorità turche si resero conto della grande utilità economica degli ebrei. Chi rimase in Sicilia e finse d’essere cristiano cercò segretamente di mantenere usi e tradizioni, ma soprattutto di rispettare la religione ebraica e le cerimonie ad essa connesse: essendo questo considerato destabilizzante per il potere spagnolo, non fu tollerato che la finta conversione passasse inosservata e impunita e, temendo il potere economico degli ebrei e la loro capacità di far adepti per la loro religione, essi furono sottoposti sempre ad imposizioni fiscali a volte addirittura umilianti (le richieste di pagamento dei “balzelli” mettevano a dura prova le loro capacità finanziarie). Per quanto tempo segretamente fu professata la religione ebraica in Sicilia dopo il 1492 non è facile a determinarsi, ma si può tutt’ora certificare l’antica presenza ebraica da molti cognomi rimasti in uso fra i siciliani e nomi di strade e toponimi ancora esistenti che denotano la diffusa presenza di questo popolo.(Calò, Consolo, Consiglio, Castro, Bonaventura, Levi, Marino, Massa, Manara, Meli, Milano, Pavia, Catania, Palermo, Perugia, Piazza, Porto, Prato, Recanati, Romano, Russo Veneziano, nonché tutti i cognomi provvisti di suffisso – Di Carlo, Di Grazia, D’Agata, Del Vecchio, Greco, Ferro, Fiorentino, Franco, Franchetti, Vita, Vitale, etc). Molti storici si sono interessati alla storia della cacciata degli ebrei di Sicilia cercando di scoprire perché questa tragedia accadde e quanti furono gli ebrei che abbandonarono realmente l’isola, le loro case, le attività ben avviate e soprattutto i luoghi dove nacquero e avevano vissuto. Il monaco inquisitore Giovanni di Giovanni nel 1748 e i monaci fratelli Lagumina nel 1885, scriveranno sui giudei di Sicilia con documentata penetrazione. I loro libri diventeranno gli studi da cui partire per le successive ricerche e in ogni modo due libri che sono fondamentali per affrontare quest’argomento. Com’è facile considerare, Giovanni Di Giovanni e Giuseppe e Bartolomeo Lagumina appartenevano al clero cattolico; non misero in buona luce la civiltà ebraica di Sicilia. Le ricerche storiche fino ad oggi continuano ad appassionare e l’argomento non è chiuso, sebbene molti storici, sulle cose e vicende di Sicilia, abbiano approfondito quest’avvenimento. Tutti riconoscono che la perdita dei giudei di Sicilia fu un fatto grave per l’economia dell’isola. (Denis Mack Smith, Lodovico Bianchini), perché gestivano attività importanti in alcuni casi faticose, ma sempre a buon reddito. Avevano in loro mano buona parte dell’economia commerciale e soprattutto quella bancaria e finanziaria del regno e del viceregno di Sicilia, anche se questo privilegio non era esteso a tutta la comunità giudaica di Sicilia. Oltre all’attività di prestito di denaro e alle attività commerciali, avevano aziende nell’attività della concia delle pelli (cunziria di Vizzini), lavorazione del ferro, lavorazione della seta, coltivazione della canna da zucchero (Savoca), produzione di maioliche (Naso). Numerosi gli ebrei di Sicilia nella professione medica con una presenza sorprendente anche di donne (non solo specializzate in ginecologia). 52 erano le giudecche esistenti con 60 sinagoghe ben localizzate: si possono ancora vedere i luoghi che testimoniano la loro presenza per scoprire ciò che è rimasto di questa civiltà attraverso la presenza di numerose testimonianze ancora visibili per considerazioni intuitive o tracce d’attività e di luoghi depositari di memoria. Nel libro di Nicolò Bucaria “Sicilia judaica”, sono indicati reperti e oggetti di tradizione ebraica in parte ancora rintracciabili e che si riferiscono ai seguenti comuni siciliani: Acireale, Agira, Agrigento, Akrai, Alcamo, Bivona, Caccamo, Calascibetta, Caltabellotta, Caltanissetta, Cammarata, Castelbuono, Castiglione, Castronovo, Castroreale, Catania, Caucana(Rg), Cittadella Maccari(Sr), Comiso, Enna, Erice, Gela, Lentini, Lipari, Marsala, Mazara del vallo, Messina, Monreale, Mozia, Noto, Palermo, Polizzi Generosa, Ragusa Randazzo, Rosolini, Salemi, San Fratello, San Marco d’Alunzio, Santa Croce Camerina, Sciacca, Scicli, Siculiana, Siracusa, Sofiana(Cl), Taormina; Termini Imerese, Trapani. Ma per quel che più ci interessa nel contesto di queste pagine è sottolineare come le prime grandi comunità ebraiche dell’isola, coincidono con le conquiste arabe di Mazara, Agrigento, Mineo, Caltabellotta, Sciacca e Siracusa, comprovando, così, che il grosso insediamento ebraico siciliano, si cominciò a delineare proprio con tale conquista dei nostri territori, laddove i conquistatori disponevano di una grossa componente ebraica cui affidare poi, l’amministrazione dei territori conquistati e la gestione dei tributi. Tale componente, mantenne nel tempo i contatti sia economici che culturali con i paesi di provenienza, sviluppando, così in favore delle loro comunità e della Sicilia tutta una notevole economia. Agli inizi di tale conquista, in Sicilia si parlava il greco, mentre si faceva strada il volgare siciliano che in seguito divenne la lingua ufficiale del Regno di Sicilia e che gli ebrei presto impararono a parlare meglio degli altri. Forme più o meno virulente di antisemitismo sono ancora presenti in tutto il mondo, eppure bisogna prendere atto che vi è un’ondata di rinnovato interesse per la cultura ebraica. Questo nuovo e diffuso interesse per gli ebrei, fa leva sulla circostanza egoistica che li vede come lievito per lo sviluppo economico di un territorio. Tale interesse, misto al desiderio di conoscenza di un popolo diverso e molto attivo, fanno sentire oggi, in moltissimi siciliani il desiderio di riallacciare gli antichi legami con la cultura ebraica che tanta parte ha avuto nella formazione e nella storia siciliana. Tale interesse per una storia poco nota o del tutto dimenticata di un grande popolo siciliano; per la sua religione, per il suo moderno stato, fornisce un impulso fondamentale sia all’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica, che alla Charta delle Judeche di Sicilia, dallo stesso promossa, che li spinge a trasformare questo affascinante aspetto culturale in un vero e proprio motore di sviluppo economico sociale e culturale per la Sicilia ebraica dei giorni nostri.

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