top of page

La Storia della Calabria

La storia e la cultura della presenza Ebraica in Calabria

STORIA DELLA COMUNITÀ EBRAICA REGGINA

 

Il 25 luglio 1511 (19 tammuz 5271) gli ebrei reggini lasciarono la città dello stretto e si imbarcarono per Messina; per poi dirigersi parte verso Roma e parte verso Livorno. Calava il sipario su una vicenda storica secolare che tanti benefici aveva recato alla città e all’intero Mezzogiorno.

 

L’esodo fu causato da un editto del re di Spagna Ferdinando il Cattolico che il 23 novembre 1510 decretò l’espulsione di tutti gli ebrei dal Regno di Napoli. Stessa sorte era già toccata gli ebrei spagnoli; solo chi accettò di convertirsi poté restare. Ebbe così inizio la vicenda dei marrani ossia degli ebrei convertiti al cristianesimo.

 

Alcuni di loro però in segreto continuarono a praticare l’antica religione. Ma l’Inquisizione era vigile e attenta: pronta a cogliere eventuali segni di culti segreti.

 

Che cosa resta oggi nella nostra città ma più in generale nell’Area dello Stretto e nel Mezzogiorno della presenza ebraica?

Per quanto riguarda la città è immediato pensare al Commentario al Pentateuco di Rashì. Infatti, il 18 febbraio 1475 (2 adarl 5235), Avraham Garton stampò il commento al Pentateuco di Shelomoh ben Yshaq. Si presume che ne furono stampati circa trecento esemplari. Oggi l’unico originale rimasto si trova presso la Biblioteca Palatina di Parma.

 

Il De Rossi - un collezionista settecentesco di libri ebraici - ne acquistò due copie ma mentre era in navigazione sul Po una cadde in acqua e sparì. Un frammento è custodito al Jewish Theological Seminary di New York. Nel 1483 Elasar Parnas copiò il commento medico di Averroè agli Analytica postyeriora di Aristotele e in seguito il Lilium medicinae di Bernardo di Gordon. Quest’ultima opera fu anche copiata nel 1508 da Shemuek ibn Musa profugo dalla Sicilia.

 

Ma gli ebrei non erano presenti solo a Reggio. Esistevano giudecche a Bova, San Lorenzo, Motta S. Giovanni, Bagnara, Pentidattilo, Sant’Eufemia e in altri centri della provincia. Quali erano le occupazioni prevalenti tra gli ebrei? In città l’attività prevalente era l’industria della seta e la tintoria. La tassazione sui proventi del commercio della seta fu oggetto di un confronto tra il governo cittadino e l’arcivescovo che speravano entrambi di poter contare sugli introiti di un ricco mercato. Era diffusa anche la medicina, un medico del quale si ha notizia era Samuele Carto. Da Seminara proveniva la famiglia del medico Lazzaro Sacerdote che agli inizi del 1400 si trasferì a Termini Imerese.

 

La posizione geografica di Reggio – ultimo lembo di continente dinanzi alla Sicilia - rendeva costanti gli scambi tra la città e l’isola. Infatti, Reggio fu meta dei profughi ebrei scacciati dalla Sicilia e sorsero problemi con gli ebrei reggini. Abram Sicar, ebreo messinese dimorante a Reggio, denunciò i correligionari che volevano costringerlo al pagamento di tributi non dovuti.

 

Dopo il luglio del 1511 dovranno passare tre secoli prima che gli ebrei tornino nel Regno di Napoli. Agli inizi del 1700 Carlo di Borbone, sovrano nel nuovo regno, tenterà di ricostituire una presenza ebraica nel Regno di Napoli: l’iniziativa fallirà. Sarà necessario attendere il 1827, quando Carl Rothschild aprì a Napoli una filiale dell’omonima banca. Egli creò, all’interno della propria abitazione (l’attuale Villa Pignatelli), un oratorio, dove gli ebrei di passaggio potevano partecipare alle funzioni religiose.

 

Dopo l’Unità d’Italia fu ufficialmente aperta una comunità ebraica a Napoli. Nel 1861 durante l’impresa dei Mille (cui parteciparono 8 ebrei) uno di essi l’ebreo veneziano Giuseppe D’Ancona perse la vita a Villa San Giovanni travolto da un carro. Non si trattò certo di una morte eroica, ma anche Lord Byron morì di morte naturale a Missolungi ma spesso si scrive che cadde combattendo per la libertà della Grecia.

 

Gli ebrei torneranno in Calabria nel secolo scorso per essere internati a Ferramonti di Tarsia. La loro vita sarà resa più lieve da un Maresciallo di Polizia reggino, Gaetano Marrari, comandante delle guardie, che si adoperò per garantire loro un’esistenza dignitosa. Un’altra storia è quella di San Nicandro, in provincia di Foggia, dove un gruppo di contadini pugliesi – dopo la Seconda Guerra Mondiale - si convertì all’ebraismo, per poi trasferirsi successivamente in Israele.

 

Ma gli ebrei meridionali espulsi, che fine hanno fatto? Hanno lasciato tracce di sé? Si, anche se sono difficili da seguire, perché il tempo è stato impietoso. L’espulsione degli ebrei dalla penisola iberica (Spagna e Portogallo) e dai domini spagnoli in Italia diede vita a un esodo biblico. Furono migliaia e migliaia coloro che si lasciarono alle spalle la vita quotidiana per affrontare l’ignoto. Molti portarono con sè le chiavi di casa; sperando in un improbabile ritorno.

 

Meta privilegiata fu l’Impero Ottomano. La Sublime Porta, infatti, offriva garanzie di tolleranza che consentivano agli ebrei di vivere serenamente. Ebbe inizio così la storia degli ebrei del Levante con personaggi leggendari che ebbero più nomi e più identità come Righetto alias Anrriquez Nunez alias Abraham Benvenisti: un nome portoghese, uno italiano e uno ebraico da usare a secondo le circostanze. Don Josef Nassi o Giovanni Miguez; Grazia Mendes o Beatrice de Luna. Ma prima dell’espulsione i contatti tra la Calabria e la Sicilia e il Levante erano numerosi. Nel settimo secolo Jona e sua moglie Shabbatia, due ebrei siciliani, si recarono a Gerusalemme, dove fecero una cospicua donazione alla locale comunità ebraica.

 

Beniamino da Tudela intorno al 1170 scrive che Messina è uno dei porti da dove ci si imbarca per Gerusalemme. Così come a Damasco tra il 1324 e il 1332 troviamo rabbì Jacob ben Chananel da Sicilia. Nel 1455 un folto gruppo di ebrei siciliani decise di trasferirsi in Terrasanta; provenivano da varie città dell’isola e tra essi vi era un certo Nissim Fusaru da Messina. Una delle mete degli ebrei in fuga dal Mezzogiorno d’Italia fu la città di Arta nei pressi dell’isola di Corfù, dove esistevano quattro comunità distinte: quella di Corfù, quella di Puglia, quella di Calabria e quella di Sicilia. Menachem Del Medico, il rabbino della comunità Calabria, nel 1570 si trasferì a Safed per contrasti sorti nella comunità. A Patrasso un rabbino famoso fu Isaia da Messina e a Cipro esisteva una comunità siciliana.

 

A Salonicco c’era una sinagoga chiamata Calabria, che dopo la metà del 1500 si divise in tre: Calabria Jashàn (dopo il 1553 fu nota come Nevè Shalom Dimora di Pace), Chiana e Calabria Chadàsch detta anche Ishmael. Tra i rabbini della comunità calabrese di Salonicco ricordiamo il veneziano David Messer Leon e Samuel di Mosè Cali. Nel 1917 un terribile incendio distrusse buona parte della città cancellando le tracce di un passato secolare; durante la Seconda Guerra Mondiale l’intera comunità ebraica fu deportata nei lager.Anche a Costantinopoli esisteva una sinagoga chiamata Calabria.

 

Ma è nel campo dei cabalisti che si fanno le scoperte più interessanti. Qabbalah è una parola ebraica che può tradursi con ricezione e indica il misticismo ebraico. Secondo Giulio Busi “Nel suo valore di ricezione, qabbalah enuncia, infatti, la continuità con il passato e anche il senso di respons abilità che questa eredità comporta.” A essa si dedicarono anche intellettuali cristiani come Giovanni Pico della Mirandola e per molti secoli fu avvolta da un alone di mistero. Un notevole impulso agli studi sulla Qabbalah venne da Gershom Scholem che si dedicò a essa con rigore scientifico.

 

Safed, sui monti della Galilea, era la città sacra per i cabalisti. Qui gli italiani avevano costituto una comunità chiamata Italia e tra i suoi maggiori esponenti vi era un ricco mercante di spezie: Sabbatai ha Cohen Siciliano. Ma il posto d’onore tra gli italiani di Safed spetta - senza ombra di dubbio - a Chaim Vitale Calabrese (1543-1620) eminente cabalista, nato a Safed da padre calabrese. Egli si trasferì a Damasco, dove divenne rabbino capo per poi tornare a Safed. Il figlio Samuel, dopo aver vissuto a Damasco, sarà rabbino a Il Cairo tra il 1666 e il 1678, a lui succederà il figlio Mosè.

 

Questi sono alcuni squarci di una vicenda lunga, complessa, affascinante e per alcuni versi ancora poco nota.

 

Ma quali furono le conseguenze della scacciata degli ebrei dal Mezzogiorno? Furono disastrose. Scomparve una comunità che aveva al suo interno consistenti nuclei borghesi caratterizzati da dinamismo economico e vivacità culturale. Si aprì la strada a una concezione della vita nel Mezzogiorno fondata solo sulla rendita parassitaria. Il Sud volse le spalle al mondo e al Mediterraneo.

 

Da quel momento i flussi commerciali e culturali del Mediterraneo non toccarono più il Sud. Diversa fu la storia di Livorno, dove l’accorta e accogliente politica dei Medici trasformò la città in un’oasi per gli ebrei del Mediterraneo. I frutti non mancarono, la nazione livornese stabilì contatti e legami con tutti i maggiori centri del Mediterraneo creando anche una lingua franca: il bagitto. Questa scelta medicea – è bene ricordarlo – non portò solo vantaggi economici ma anche, e forse soprattutto, politici e culturali. La tolleranza di Livorno si estese all’intera Toscana. Da Livorno sorsero poi esponenti di primo piano del mondo ebraico da Moses Montefiore al rabbino Elia Benamozeg.

 

Oggi riemergono qua e là tracce di un passato millenario che il tempo e, in tanti casi, la ferocia umana non sono riusciti a cancellare. Come un fiume carsico che appare e scompare, senza mai cessare di scorrere.

 

 

 

 

LA PRESENZA EBREA NELL’ ENTROTERRA PRE SILANO E NEL MEDIO JONIO

 

PAGINE STORICO ANTROPOLOGICHE NEL CROTONESE:

 

Sono numerose, fra  il X secolo a.C. ed il  XVI secolo d.C. le tracce della presenza degli Ebrei nella Calabria orientale e nel  Crotonese ed ancora ai giorni nostri, tracce di questa presenza al di là  ritrovamenti archeologici ed alle attestazioni documentarie, sono riconoscibili nella toponomastica, nel dialetto e finanche in alcuni cognomi. Se sull’avvento degli Ebrei in Calabria non sembrano esserci notizie certe, il loro esodo dal Sud italiano fu imposto nell’ottobre 1.541, allorquando il re Carlo V decise d’espellere mediante un editto tutti gli Ebrei presenti nel Regno di Napoli. Sino ad allora, secondo gli storici, il periodo più florido per la presenza degli Ebrei in Calabria era stata l’Età aragonese(1.442\1.502). In quest’età a dette degli storici, per esempio, nella città di Crotone su 450 fuochi 58 erano ebrei  per origine. Un altro periodo certamente felice per le colonie ebree nel Crotonese e nell’intera Italia meridionale era stato quello della dominazione sveva.  Infatti, Enrico IV e Federico II incoraggiarono la presenza ebrea nel proprio Regno.  Fra il 1.444 ed il 1.447, gli Ebrei stanziati in Calabria ricevettero numerose concessioni da parte d’Alfonso il Magnanimo che, oltre a concedere vari diritti alle Comunità ebree di Crotone, Cirò e Taverna, decretò che gli Ebrei di Tropea fossero equiparati, per il fisco, ai Cristiani. A Crotone, la zona cittadina che secondo lo studioso Cesare Colafemina autore del saggio “Per la storia degli Ebrei in Calabria”, ospitò la colonia ebraica era situata nei pressi dell’attuale parrocchia di santa Maria Prothospatariis.  Sempre secondo Colafemmina, nell’Età aragonese re Alfonso approvò una richiesta inviatagli dall’università cittadina “in cui si chiedeva che gli Ebrei annoverati come cittadini fruissero di tutte le garanzie, franchigie, immunità e libertà di cui godeva la stessa città di Crotone”.  

Ancora nei pressi della Costa jonica, una nutrita presenza di Ebrei è attestata nel territorio compreso fra Cirò e Cirò Marina dove, per esempio, alcun tracce ebraiche sono riconoscibili nei cosiddetti “Mercati saraceni”. Per la cittadina di Strongoli lo storico Salvatore Gallo ha scritto, nel saggio “Vecchio campanile”,    una lapide del XV secolo ritrovata in contrada Catena nel 1954 in cui è scritto“questa è una lapide dell’illustre signore, maestro Leone medico figlio di Clemente morto nel 5.201, 1.441 dell’Era volgare. L’Eden sia il suo riposo”. Con un atto stilato dalla corte di Napoli datato 17 settembre 1493, inoltre, si intimava al capitano della città di concedere “ ali dicti iudei et ad ciascuno de lloro che qualsivoglia università et altra persona che ali dicti iudei et ciascuno di de lloro de Venerdì santo o de qualsivoglia altro dì o nocte fossero petreate o altri insulti o iniurie, che casche in pena di ducati mille et altra pena in arbitrio di v. maestà reservata” ed ancora nel 1.872 fu stilato un atto notarile con cui, alla morte diLeonardo Giunti, i suoi figli ereditarono un fondo rustico denominato “Giudeo”.

 

Santa Severina: il castello.

 

Per Santa Severina, “Sibarene” (raccolta dell’omonima rivista edita dall’Arcidiocesi fra il 1913 e 1927) offre  una descrizione abbastanza dettagliata di quello che fu il quartiere ebreo. Un articolo scritto da mons. Antonio Pujia, nel 1913 descrive così il quartiere ebreo: “con strada plana e scoscesa, cattiva d’inverno, si giunge in un luogo detto Fiera, da dove si prende una salita malagevole per salire a detta città, indi si giunge sotto la porta, dove v’è una conetta sopra un mottetto, volgarmente detto “Timpone dei Giudei”; poco più avanti vi si trova una strada, inselicata di pietra viva, per la quale si arriva alla porta della città”. L’articolista aggiunge, inoltre, che a Santa Severina esistette“un rione detto de li Giudei con sinagoga, officine e via”.  Da parte sua, lo storico Oreste Dito, nel saggio “La storia calabrese e la dimora dei Giudei” per Santa Severina osserva che “nel 1.308 la gabella della tintoria fu data in fitto a Matalluso giudeo per l’annuo canone di 8 tarì. Agli Ebrei poteva essere affidata una pubblica gabella e quel Matalluso giudeo ed i suoi correligionari dovevano, a Santa Severina, esercitare la tintoria ed avere non poca parte nel traffico della città”.

 

 

Petilia Policastro: portale del palazzo Ferrari

 

La cittadina di Petilia Policastro ebbe anch’essa un importante presenza ebrea. Tracce architettoniche ebraiche ancora oggi sono riconoscibili nelle merlature del portale della famiglia Ferrari attiguo alla chiesa matrice di san Nicola pontefice poco lontano di quello che fu il quartiere giudeo. Questo era situato nei pressi dell’antico complesso di santa Caterina di cui faceva parte l’antica sinagoga divenuta successivamente la chiesa di san Pietro. Questa chiesa costruita su pianta ottagonale, essendo stata sconsacrata da tempo, fu completamente inglobata nel palazzo comunale nel 1949, essendo sindaco l’avvocato democristiano Luigi Carvelli. Nei suoi pressi, comunque, era situata  una delle porte cittadine ed una viuzza che scende verso la campagna è chiamata ancora oggi “Porta giudaica”.  Altre tracce della presenza ebrea sono rappresentate, a Petilia Policastro, da alcuni cognomi che, almeno fino agli anni ’30 dello scorso secolo, erano scritti in maniera diversa. Stiamo parlando del diffuso cognome Ierardi un tempo Jerardi e Mazzuca un tempo Mazzuka. La trasformazione di questi cognomi avvenne probabilmente nell’età del regime fascita quando divennero realtà anche in età le leggi razziali. Altri cognomi che sembrano avere origini ebree sono Aiello e Mascaro. Quest’ultimo sembra provenire dallo Spagnolo “mas caro” nel significato di più caro (a Dio).  

 Nell’Entroterra dell’alto Crotonese, testimoniano una fiorente lavorazione giudea di ceramiche, databile al dominazione normanna, alcuni reperti archeologici come una coppa ritrovata a Caccuri. Su questa coppa, conservata nel Museo archeologico di Reggio Calabria,  venne artisticamente dipinto un gallo con alcuni nastri intorno al collo. Si tratta di una raffinata opera risalente al XII secolo che gli studiosi collegano a qualche scuola di ceramisti siciliani d’ascendenza “iranico sasanide”.  Se si guarda ai tanti contributi dati all’economia calabrese ed alle tracce  architettoniche ed artistiche nell’intera Regione dove, solo per fare un esempio, sinagoghe furono trasformate in chiese; non si può che condividere il pensiero del francescano fr. Francesco Russo che, nel saggio “Storia della Chiesa in Calabria dalle origini al Concilio di Trento”, scrisse che “Cacciando gli Ebrei dal Regno di Napoli non solo fu commesso un atto d’intolleranza, mentre il Papa li accoglieva in Roma, ma hanno anche recato un colpo fatale all’economia d’Italia meridionale e della Calabria in particolare. Né per questo cessò l’usura che fu esercitata dai Cristiani o sedicenti tali che non furono meno esosi e spietati degli Ebrei.  La Chiesa ancora una volta intervenne non solo per condannare l’usura, sotto qualsiasi pretesto si presentasse, ma ancora con l’istituzione e la protezione accordata ai Monti di pietà a favore dei meno ambienti”. Questi, sottolinea lo Storico francescano, ebbero il proprio culmine nel XVI quando, cioè, la presenza di Ebrei in Calabria era ormai un ricordo del passato.

 

 

La presenza ebraica a Bagnara,

a Reggio e in Calabria

 

A Bagnara esisteva negli anni 1502-1503 una Giudecca. Questo fino alla cacciata dal Viceregno. E dopo?

Lo studioso Franco Mosino, nella sua Ricerca sugli ebrei a Bagnara Calabra in età moderna: il metodo storico-linguistico, pubblicato sulla rivista trimestrale di cultura Calabria Sconosciuta, numero 93 del 2002, ricorre anche all'indagine linguistica e onomastica - del resto già ampiamente usata nella storiografia generale ed ebraica italiana in particolare - per rivelare come da nomi, cognomi e toponimi urbani si evinca la significativa presenza ebraica a Bagnara, almeno fino a metà del 19° secolo.

Così, scopriamo che nomi personali come Deodato, Simone, Giosafatto sono verosimilmente di origine ebraica.

In particolare Teramo, diffuso a Bagnara, per il quale il Mosino sostiene che: "... Quando un neonato, che doveva assumere il nome personale Teramo, veniva portato in chiesa per il battesimo, il parroco accettava senz'altro di battezzarlo con tale toponimo invece che con il nome tradizionale di un santo? O forse egli rifiutava? Il rifiuto è quasi certo... Ed allora si dovrà concludere che bambini di nome Teramo non erano presentati in chiesa, ma essi probabilmente ricevevano la circoncisione in casa oppure nel luogo di culto ebraico, che poteva essere una sinagoga?..."

Cognomi come Davì, Isaja, Pavia, Saja, Spoleti e Triulcio ricorrono - insieme ad altri - negli estratti di atti di nascita che nella succitata ricerca vengono riportati, e tratti dall'Archivio di Stato di Reggio Calabria.

E' questo uno strumento "...efficace di identificazione dei cognomi sicuramente ebraici di base toponomastica a Bagnara nei secoli 17°-19°... Nelle fonti riportate all'inizio dell'articolo si sono individuati i materiali linguistici relativi alla presenza di ebrei in Bagnara Calabra tra il 1720 ed il 1831..."

 

 

 

…Era inevitabile che la diaspora spingesse gli Ebrei verso i territori che si affacciano sul Mediterraneo, essendo i più a portata di mano, dai quali dilagarono, poi, con gli anni, in tutta l’Europa.

La Costituzione di Onorio (398) è il documento più antico che segnala la presenza degli Ebrei nella penisola italiana e, specificatamente, in Puglia, ma è da presumere che il loro arrivo nell’antica Calabria, come veniva chiamata a quell’epoca la penisola salentina, era avvenuto molto tempo prima.

La più remota notizia della loro presenza nella nostra regione è menzionata nella Vita di S. Nilo di Rossano, vissuto tra il 910 e il 1004, scritta da S. Bartolomeo, suo discepolo. In termini storiografici, gli Ebrei in Calabria vengono indicati da Padre Giovanni Fiore da Cropani in Della Calabria Illustrata, per il quale, come ricorda Oreste Dito in La storia calabrese e la dimora degli Ebrei in Calabria dal sec. V alla metà del sec. XVI “vennero in Calabria la prima volta circa il mille e duecento, che abitarono Corigliano, da dove poi allargati si stabilirono in Cosenza, Belcastro, Taverna la Montana, Simmari, Tropea, Crotone, Squillace, Reggio, singolarmente in Catanzaro ed in sì gran numero che bastarono a popolare contrade intere, sì che ne acquistarono il nome di Giudeche; la cui nominanza pur oggigiorno la dura in più degli accennati luoghi”.

Infatti, molti centri abitati in quel periodo hanno, ancora oggi, siti urbani e non urbani i cui toponimi (judeo, giudeo, giudecca e loro varianti), non lasciano dubbi sul loro etimo attribuibile senz’altro alla loro presenza. Se poi si tiene conto delle numerose sinagoghe registrate dalla storia e testimoniate dai loro reperti rinvenuti anche in anni molto vicini a noi, si ha la dimostrazione storica di quanto la loro presenza fosse radicata e numerosa nella nostra terra.

La Calabria, tradizionalmente ospitale, non lo fu granché nei riguardi degli Ebrei che ebbero a subire l’intolleranza dei locali. E’ però da precisare che non si trattò di puro e proprio razzismo come si dovrebbe pensare, bensì di questione economica ammantata malamente da quella religiosa.

Oreste Dito scrive, infatti, che “l’avversione del popolino contro i Giudei era fondata da più forti ragioni che non la religione.

Senza dubbio - afferma - la loro vita appartata ed attiva, in tempi di superstizione e d’ignoranza, permetteva ogni sospetto.

D’altra parte, la loro ricchezza, in quei tempi di miseria generale, era guardata con ingorda invidia, e dovuta alla partecipazione in ogni genere di negozi, e specialmente nell’usura che essi esercitavano”.

Gli Ebrei, notoriamente esperti nell’arte manifatturiera degli oggetti in argento, da abili commercianti, divennero maestri nel commercio del prestito del denaro che esercitavano senza farsi scrupoli, realizzando guadagni che li rendevano invidiabili e, nello stesso tempo, odiosi. Purtroppo erano maledettamente insostituibili non solo per il popolino, ma anche per i ceti alti endemicamente bisognosi di crediti e, soprattutto, per i monarchi e loro entourage, a cui non era bastevole il denaro rastrellato con l’imposizione di tasse e balzelli vari. Mancando a quel tempo le banche, erano gli Ebrei a detenere il monopolio pressoché esclusivo dei prestiti, considerato che la concorrenza opposta dai mercanti cristiani, perlopiù genovesi e veneziani, non era tale da impensierire i discendenti di Davide.

Questa situazione, com’è comprensibile, incentivava l’irritazione popolare contro gli Ebrei. Unico rimedio praticabile, quello attuato da altre nazioni (Inghilterra nel 1290; Francia nel 1306; Spagna nel 1452), cioè decretare la loro espulsione dal territorio del regno, non senza danno per l’economia. Insomma, gli Ebrei erano divenuti un “male” di cui non si poteva fare a meno.

Fu all’epoca di Federico II (1194-1250) e, particolarmente, sotto il pontificato d’Innocenzo III (1198-1216) che iniziò una politica antisemita abbastanza sostenuta contro gli Ebrei, fino ad imporre loro di portare bene in evidenza un segno di riconoscimento, una specie di marchio d’infamia o d’ignominia, concedendo al clero di esercitare un certo diritto di servitù nei loro confronti, obbligandoli a vivere, addirittura, tutti nello stesso quartiere onde limitare i contatti con i cristiani e tenerli meglio sotto controllo, quartieri che furono all’origine della “ghettizzazione”.

Il potere esercitato a quell’epoca dall’altare sul trono, come evidenzia emblematicamente la vicenda di Canossa, pesa come un macigno sugli Ebrei, considerata l’idiosincrasia della Chiesa verso di loro, che avrebbero comunque subito una maggiore oppressione se il trono non avesse avuto bisogno degli introiti messi a loro disposizione.

Col passare del tempo, il problema andava acutizzandosi e si cominciò con le suppliche. Significativa quella del 1476 inviata dai cosentini ad Alfonso d’Aragona, dominatore di turno del Regno di Napoli, in cui si lamentava che “i Iudei usuraij, quando vanno li genti per denaro ad imprestito necessitosi per gli regij pagamenti et altri bisogni, solino adomandare pigni che valono lo quadruplo che haveno da imprestare”.

Sotto la pressione popolare si passò alle prammatiche, equivalenti alle odierne ordinanze o decreti, con le quali si stigmatizzava la “pravità giudaica”, ordinando comportamenti ed obblighi onde evitare “ogni inconveniente che ne potesse succedere”, pena, per i trasgressori, del versamento di determinate once d’oro (un modo come un altro per fare soldi).

Il 20 aprile 1509, la situazione si era così arroventata che si emanò una prammatica con cui vennero cancellati d’autorità tutti i crediti che gli Ebrei vantavano dai cristiani, decisione significativa della situazione esplosiva che si era andata a creare.

Le prammatiche contro il commercio e l’usura esercitati dagli Ebrei furono parecchie. Nel susseguirsi degli anni furono ripetute evidentemente perché non era così semplice modificare uno stato di cose che implicava interessi economici di rilievo, pressoché vitali per lo Stato.

Ferdinando II d’Aragona, nel 1501, associata alla corona di Spagna quella del Regno di Napoli col nome di Ferdinando III, trovando il problema della presenza ebraica di difficile soluzione, non ritenendo opportuno ripetere quanto era avvenuto in Spagna nel 1452 allorché ci si sbarazzò degli Ebrei espellendoli dal Paese, con conseguenze pesanti per lo stesso, pensò d’importare a Napoli la Santa Inquisizione per condizionare l’esuberante incidenza che avevano sull’economia. La contrarietà dei napoletani fu però secca, categorica e così vivace da indurlo a decretare l’espulsione con un’apposita prammatica del 1510.

Sarebbe lungo richiamare la serie di problemi che impedirono l’esecuzione del provvedimento. Oltre alle questioni economiche, interferirono quelle di ordine politico e, in particolare, quelle umorali tra il trono e l’altare, due poteri molto spesso in conflitto.

Fu solo nel 1702 che venne attuato lo sfratto definitivo degli Ebrei dal Regno di Napoli, qualche anno prima che  la dominazione spagnola, la peggiore in assoluto tra quelle che imperversarono per secoli nel meridione d’Italia, fosse stata costretta a lasciare il passo agli Asburgo d’Austria.

Il vuoto lasciato dagli Ebrei nel campo del prestito ad interessi si cercò di colmarlo con l’istituzione dei Monti di Pietà, che non risultarono sufficienti. In prosieguo nacquero i banchi di credito ossia i progenitori degli istituti bancari.

Gli Ebrei rimasti in Calabria e nel resto del Regno di Napoli furono numerosi. Restarono a pieno titolo, non da Ebrei, ma da marrani, come venivano chiamati coloro che si convertivano al cristianesimo.

L’abiura alla loro religione - con la conseguente adesione al cattolicesimo -  veniva favorita dalle autorità civili e sollecitata da quelle clericali. Da parte degli Ebrei ortodossi era considerata un atto sacrilego e un tradimento, per cui, se potevano, non mancavano di perseguitarli e punirli severamente.

Contro questa evenienza era data facoltà ai marrani di assumere altre generalità, al fine di sfuggire ai vecchi fratelli di fede, così come avviene oggi da noi con i pentiti di mafia. Sicché molti dei cognomi assunti dai marrani sono giunti a noi. Oreste Dito ne fa il seguente elenco: “Arcamone, Minutolo, Barrile, della Marra, Siginulfo, De Griffo, Sirola, Guindazzo di Capua, Carafa, Artus, Filomarino, Protonotabilissima, Moccia, Aiossa, d’Aquino, Serignara, Monforte, de Pando, Pandona, del Dolce, de lagonessa, Caracciolo, Vulcano, de Gesualdo, Mele, Stendardo, ed altri”.

 

 

Sembra più che probabile che nuclei di ebrei si trovassero nelle città costiere del Bruzio fin dai tempi dell’antichità classica. I luoghi del commercio – Reggio, Locri, Crotone, Squillace – non potevano restare fuori dal circuito percorso dall’attività dei levantini, i quali si muovevano in tutto il Mediterraneo. Ed è proprio agli Ebrei che si deve l’introduzione del Vangelo nelle città costiere del Bruzio, toccate per motivi economici.

Reggio per la sua posizione e il suo ruolo di porto di transito ed emporio commerciale aveva l’aspetto di una città cosmopolita. Dovettero essere proprio gli elementi asiatici, mischiati alla popolazione indigena, a costituire l’anello di congiunzione con i nuovi apostoli della fede cristiana.

Non sarebbe neanche del tutto improbabile ricollegare con la presenza degli Ebrei in Reggio la leggenda dell’origine stessa della città, che gli storici calabresi non hanno alcun dubbio ad attribuire ad Aschenez, nipote o pronipote di Noè.

Si pensa che gli Ebrei siano giunti in gran numero nel Bruzio dopo la caduta di Gerusalemme nel 70. Ma, in questo caso, si tratterebbe di un nuovo afflusso, perché essi vi erano già da tempo, secondo la testimonianza di Strabone, il quale afferma che ai suoi tempi non vi era luogo sulla terra abitata nel quale gli Ebrei non si fossero stabiliti.

Sulla loro presenza a Reggio, anteriormente al secolo XI, si ha qualche testimonianza in rare iscrizioni ebraiche e in alcune greche e latine, nelle quali affiorano nomi di personaggi di provenienza levantina: siriani, rodii, istraeliti e, perfino, samaritani. Ma notizie più particolareggiate sulla presenza degli Ebrei in Calabria, in modo particolare a Bisignano e Rossano, è possibile trovarle nella Vita di S. Nilo.

A Cosenza doveva esserci, fin dall’antichità, un considerevole numero di Ebrei, che vi avevano il proprio quartiere, la Giudeca o Iudaica, la quale fu posta sotto la giurisdizione dell’arcivescovo nel 1903. A S. Severina esisteva il quartiere della “Iudea”, contiguo a quello antichissimo della “Grecia”. Ciò fa supporre che gli Ebrei vi fossero pervenuti fin dai tempi bizantini. Tuttavia una massiccia migrazione verso la Calabria si ebbe con l’avvento degli svevi nella regione, per il trattamento di favore accordato agli ebrei prima da Enrico IV e poi da Federico II, per incrementare le industrie della seta, della tintoria, del cotone, della canna da zucchero e della carta. E ciò non perché essi lavorassero in quelle industrie, ma perché ne intensificassero la produzione, contribuendo così al progresso dell’economia locale, attraverso il prestito di capitali.

Essi praticavano tassi molto elevati e il sovrano Federico II, che pure aveva voluto che gli Ebrei si differenziassero dai Cristiani attraverso gli abiti indossati, ben si guardò di mitigare l’usura, giustificandola come una professione non contraria ai sacri canoni.

 

La Taxatio o Cedula subventionis del 1276 offre una documentazione attendibile che permette di stabilire che, in quell’epoca, comunità ebraiche erano presenti nella maggior parte delle località calabresi, grandi e piccole.

Gli Ebrei, riuniti nel proprio Ghetto o Iudeca, si reggevano con ordinamenti propri, secondo le proprie tradizioni. Costituivano, dunque, una comunità a parte, regolata da leggi differenti da quelle osservate dai Cristiani, quali, per esempio, l’osservanza del sabato e la celebrazione della Pasqua. Per gli atti di culto avevano la loro sinagoga e per l’istruzione la propria scuola, che, spesso, coincideva con la sinagoga stessa.

A Reggio la sinagoga era situata in una zona abitata da Cristiani e la promiscuità dava origine a non pochi inconvenienti. I Cristiani lamentavano le interferenze del rito ebraico durante lo svolgimento delle loro funzioni e, perciò, chiedevano che i Giudei distruggessero la sinagoga e ne costruissero un’altra nel proprio quartiere. Di fronte a questa situazione il governo angioino cercò di non scontentare né i Cristiani, né gli Ebrei. Fu dato ordine che, se le cose stavano come riferite dai cristiani, se, cioè, la sinagoga si trovava troppo vicino al loro quartiere, questa doveva essere demolita e gli Ebrei compensati in modo equo. Se, poi, i Cristiani non ne volevano la distruzione, ma preferivano utilizzare l’edificio, esso poteva essere loro concesso ad un prezzo congruo. E, in ogni caso, agli Ebrei era consentito di costruire una nuova sinagoga nella loro zona.

L’attività degli Ebrei si svolgeva soprattutto in campo economico e commerciale. A Reggio essi avevano nelle loro mani l’industria della seta e della tintoria. Gli Ebrei applicavano il metodo di tingere i tessuti con l’indaco e i prodotti pregiati venivano esposti e venduti non solo nelle principali fiere del Regno, ma anche nel resto d’Italia, in Francia, Spagna e nell’Africa mediterranea.

Era proprio per l’impulso dato all’economia che gli Ebrei non erano solo tollerati, ma anche favoriti. La stessa benevolenza goduta a Reggio, fu ad essi assicurata anche a Catanzaro e nelle altre città della Calabria.

Se il contributo all’incremento dell’industria e del commercio, soprattutto nel secolo XV, fu sensibile, essi non mancarono di distinguersi neanche in campo culturale. A Reggio fu impiantata una tipografia, la seconda nel Regno di Napoli, fin dal 1475, da Abraham ben Garton, che, in quell’anno, vi stampò il Pentateuco in ebraico, prima stampa di un libro in caratteri israelitici non solo in Italia, ma in tutto il mondo. E tre anni dopo un altro ebreo, Salomone di Manfredonia, impiantava una tipografia a Cosenza.

Intanto, per ovviare alla piaga dell’usura, i maggiori responsabili della quale erano considerati proprio gli Ebrei, nacquero, nel secolo XV, i Monti di pietà, che si proponevano di prestare denaro ad un tasso molto esiguo o dietro consegna di un pegno.

Di questa istituzione si fecero propagatori i Francescani, particolarmente il Beato Bernardino da Feltre. Ne furono fondati anche in Calabria, ma nel secolo XVI, quando ormai gli Ebrei non vi erano più.

La convivenza tra gli Ebrei e i Cristiani, tuttavia, non fu sempre pacifica. Nel 1264 gli Ebrei di Castrovillari uccisero il B. Pietro da S. Andrea, fondatore e propagatore del francescanesimo in Calabria. Altre volte furono i Cristiani ad infierire sugli Ebrei, accusati di pratiche malefiche, nefandezze ed altri misfatti. Così, nel 1422, essi furono additati come colpevoli di avvelenare le acque delle fontane di Montalto e dei paesi vicini.

Gli Angioini non furono teneri verso gli Ebrei, ma non si può neanche dire che furono dei persecutori; si adoperarono per la loro conversione alla fede cattolica, favorendo in ogni modo chi operava questa scelta. Nel Parlamento, tenuto a S. Martino della piana il 30 maggio 1283, si decretò che agli Ebrei non fossero imposti dei gravami oltre a quelli esistenti. Con l’editto del 1 maggio 1294 si concedevano particolari facilitazioni a chi di loro si fosse convertito alla fede cristiana. Viceversa il 4 aprile del 1307 veniva confermata la disposizione di Federico II, poi e riesumata da Carlo I d’Angiò, per cui essi dovevano differenziarsi dai cristiani nelle vesti.

 

Dopo la pace di Caltabellotta (1302) alla città di Reggio furono concessi dagli Angioini diversi privilegi di cui usufruirono anche gli Ebrei che vi risiedevano. Tra gli altri vantaggi si ricorda la fiera franca del 15 agosto, che, accordata da Luigi e Giovanna d’Angiò nel 1375, faceva confluire nella città molti mercanti pisani, lucchesi e napoletani, per l’acquisto della seta e di altre mercanzie, di cui gli Ebrei avevano il monopolio. Nel 1417 l’Università di Catanzaro appoggiò la richiesta da essi rivolta al governo di essere dispensati dal portare il segno distintivo, l’esonero dal pagamento della “gabella della tintoria”, nonché l’assicurazione di non essere molestati né dagli ufficiali regi, né dagli inquisitori ecclesiastici. Poco dopo gli Ebrei ottenevano di formare una comunità unica con i Cristiani, senza alcuna discriminazione nei loro riguardi.

Il re Alfonso il Magnanimo, negli anni 1444-1445, fece varie concessioni alle comunità ebraiche di Cirò, Crotone, Taverna ed altre città; nel 1447 concesse agli Ebrei di Tropea la parificazione tributaria ai Cristiani.

Anche gli Ebrei di Castrovillari raggiunsero una pacifica convivenza con la popolazione locale. Quando essi lasciarono la città, nel 1512, fecero cessione della loro Scuola all’Università. A Montalto la sinagoga fu soppressa nel 1497 e le rendite furono destinate alla chiesa matrice, mentre la Scuola fu lasciata all’Università, che la trasformò nella Cappella della Madonna delle Grazie.

La giurisdizione civile e criminale sugli Ebrei, dai Normanni e dagli Svevi, fu concessa ai vescovi.

Nel 1093, la Giudaica di Cosenza fu sottoposta dal Duca Ruggero Borsa alla giurisdizione dell’arcivescovo, al quale gli Ebrei dovevano pagare le decime. Più tardi il re Guglielmo I trasferì alla Curia cosentina alcuni diritti sugli Ebrei, e Federico II, nel marzo 1212, concesse all’arcivescovo Luca non solo le decime ma, anche, la Scuola ebraica.

Il papa Bonifacio IX, il 26 giugno 1403, dietro richiesta degli Ebrei di Calabria, esortò i vescovi a difenderli dalle vessazioni degli inquisitori. Ma la giurisdizione vescovile a poco a poco venne meno per le manomissioni dei baroni e delle Università, che la pretendevano.

Il provvedimento non migliorò la situazione degli Ebrei, i quali furono angariati dagli ufficiali civili non meno che da quelli ecclesiastici. Di ciò gli Ebrei siciliani, trasferitisi a Reggio, si lamentarono con il re nel 1494; motivo per il quale il sovrano decise di restituire la giurisdizione della Giudeca all’arcivescovo.

Ma a mettere la parola fine alle dispute relative alle competenze, intervenne la cacciata degli Ebrei dal Regno, nel 1510. E’ necessario notare, infatti, che alla tolleranza della Chiesa nei loro confronti, si oppose l’atteggiamento antitetico dei sovrani spagnoli. Essi, scacciando gli Ebrei da Regno, non solo commisero un atto di xenofobia, ma assestarono un colpo fatale all’economia dell’Italia meridionale, in generale, e della Calabria, in particolare.

 

 

 

Giudei di Reggio

 

Dopo la distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito Vespasiano, l'Impero romano aveva il completo dominio sul mondo. Gli Ebrei, che sfuggirono al terribile eccidio perpetrato dai romani, avevano abbandonato la loro terra e si sparpagliarono nel mondo allora conosciuto, scegliendo quei centri dove meglio potessero esercitare la loro industriosa e laboriosa, fonte di lauti guadagni.

Molti di loro ridotti in schiavitù vennero condotti da Tito stesso nell'Urbe, dove, alcuni, lentamente e abilmente sfruttando propizie occasioni e distinguendosi per la loro personale abilità, divennero liberti, e a poco a poco acquistarono una certa libertà di azione; riunitisi in comunità (i Ghetti) riuscirono a formarsi un'agiata condizione.

Gli Ebrei sfuggiti ai romani, si erano stabiliti nei luoghi più floridi della Italia Meridionale, dove in seguito, ricongiungendosi con gli altri nuclei sparsi per il Lazio, avevano invaso i più importanti mercati con le loro merci e con le loro geniali novità.

Per questo motivo si potrebbe, sia pure in modo non assoluto, far risalire a quell'epoca remota la venuta in Calabria di nuclei di Ebrei che in seguito, sfruttando il nostro ambiente commerciale con mirabile astuzia, si distinsero diffondendo industrie fiorenti e amplificando notevolmente la vita commerciale.

A tal proposito scrive il Cotroneo: “Non sarà una semplice congettura, si bene un dato di fatto abbastanza serio, l'affermare la venuta dei Giudei a Reggio in quel primo secolo cristiano ove si consideri l'importanza che la nostra città aveva allora.”

Egli giunge a questa conclusione sicuramente basandosi sul carattere avido di guadagno dell'Ebreo, e la floridezza di Reggio nell'età dei Flavi.

Reggio, infatti, in quel tempo godeva della simpatia sia di Vespasiano che di Tito, il quale è stato  nella nostra città, specialmente prima e dopo di salpare verso i lidi orientali alla conquista di quelle zone che molestavano l'ancora forte e possente organismo dell'Impero romano.

A Reggio esisteva allora un importante cantiere navale, che insieme all'altro importantissimo di Pellaro, forniva all'imperatore la flotta per il trasporto delle truppe in Oriente, poiché la “industre Congregazione o Fratrìa dei Dendrofori”, tagliava alberi secolari sull’Aspromonte e ne costruiva veloci galere.

Per questo è logico pensare che gli Ebrei seguendo forse la rotta dell'imperatore stesso, che sostava in questi luoghi, siano sbarcati silenziosamente, in piccolo numero, e si siano mescolati all'elemento indigeno, trascorrendo una vita pacifica lontana dalle lotte.

Prima del periodo normanno, tranne qualche notizia riguardo agli Ebrei, nulla abbiamo di certo; si sa però che essi, si garantivano la libertà di culto, mediante un tributo speciale corrisposto prima all’Università e poi alla Chiesa Maggiore.

Di fronte alla popolazione erano considerati in uno stato di inferiorità, dando luogo a molte esagerazioni e facendo della storia ebraica in Calabria, come altrove, una continua persecuzione.

Dopo la venuta dei Normanni in Reggio, molti documenti chiari ed assoluti comprovano la loro esistenza nelle nostre zone, tra cui la Giudecca, l'esplicazione della loro attività e la loro condizione giuridica ed economica.

Ma è solo dal 1127 al 1511 che risulta da fonti concrete la presenza degli Ebrei in queste zone, già in epoca di feconda attività. Molti documenti descrivono il loro “modus vivendi”, e, parecchi altri, delimitano la zona limitrofa oltre la cinta delle mura reggine come la prima loro sede, che fu detta Giudecca.    

E' certo che la Giudecca, popoloso e ben organizzato quartiere, non sorse così all'improvviso, ma fu un lavorio lento di secoli. Infatti nei primi anni del XV sec. gli Ebrei sono già sistemati in corporazioni, separati dai cristiani, ad opera di legislazioni e d'inquisizioni di quegli ultimi tempi.

I primi nuclei di Ebrei a Reggio abitarono la parte nord della città in un loro quartiere fuori delle mura ed occuparono la parte inferiore della città, rasentando le mura occidentali.

Comunicavano con la marina mediante una porta detta Anzana ed essa era l'unica loro entrata ed uscita, non avendo da alcun altro punto comunicazione con la città di Reggio.

Ai primi scarsi nuclei, altri si unirono formando comunità numerose e portando sempre maggiore incremento alle arti manuali, tanto che la Calabria, e il Meridione, molto debbono a questi Ebrei artefici e geniali innovatori.

Essi recarono nelle nostre contrade la coltura dei gelsi, la  manifattura della seta e, in epoca più tarda, l'arte di colorire i drappi serici delle più vaghe e graziose tinte mediante l'indaco.

Essi, spinti dalla loro natura proclive alla mercatura ed ai lauti guadagni, con le industrie più lucrose accresciute dall'usura, seppero, in breve spazio di tempo, allargare i confini del loro quartiere, all'inizio ristretto, e, mettendosi in relazione con le nostre fiorenti repubbliche marinare del tempo, fecero di Reggio un centro rumoroso di traffico con un. relativo benessere per la popolazione reggina.

Gli Ebrei fino a quando rimasero quasi appartati  e rinchiusi nel loro quartiere poco ebbero a risentire della tumultuosa vita di Reggio e vissero tranquilli senza alcuna molestia, finché non si profilò all'orizzonte il dominio assolutistico normanno, in cui essi vennero assorbiti e ne seguirono, insieme con la popolazione reggina, le diverse vicende.

I Normanni, attuato il loro indirizzo politico, si diedero a sviluppare il settore economico del tempo, per cui furono introdotte nuove industrie ed il commercio cominciò ad avere un progressivo sviluppo.

Tutto ciò allora mise in evidenza l'elemento più intra­prendente ed attivo: gli Ebrei. Così essi, grazie anche alla loro di­sponibilità finanziaria, acquisirono una personalità all’interno della società che fino a quel momento era loro mancata.

Divenendo sempre più numerosi la loro ricchezza cominciò a destare preoccupazione nella gente di Reggio; cominciarono quindi le invidie, gelosie, dissidi e lotte sempre più furibonde, che sfociarono, nel 1511,  nella loro espulsione dalla Giudecca e da tutto il suolo reggino.

Anche se, alcune fonti riferiscono che, i normanni girarono alla Chiesa molte concessioni che le comunità ebraiche fecero loro, questi atti non erano dei fatti ostili operato dai Normanni a danno degli Ebrei.

Al contrario, dai normanni, gli Ebrei, come altre razze in quel periodo numerose a Reggio, ebbero un trattamento equo. Anche con la chiesa i Normanni, grazie alla loro fine politica, avevano rapporti amichevoli, tuttavia, non osteggiarono mai l'elemento ebraico.

Sotto il Normanni la comunità giudaica reggina ha subito un notevole sviluppo economico, se pure quel tributo speciale detto Il morkafa o mortafa, corrisposto definitivamente alla Chiesa potesse apparire come una soggezione all'elemento cristiano prevalente.

I vescovi esercitavano la loro autorità giurisdizionale sopra la Giudecca reggina per mezzo dei canonici della Chiesa maggiore, i quali, spinti da zelo religioso, tentavano di convertire al cattolicesimo la Comunità degli Ebrei dedita tutta al traffico commerciale ed all'usura lucrosa.

La condizione degli Ebrei sotto i successivi dominatori svevi, si delineò ancora meglio, sia di fronte alla Chiesa, come di fronte allo Stato; anzi è da questo momento che iniziarono le controversie fra l’Università reggina e la Chiesa Maggiore, entrambi pretendenti alla riscossione dei tributi fiscali dei Giudei.

La Giudecca reggina era giunta al massimo della floridezza economica; le produzioni di seta e le stoffe reggine avevano invaso i più importanti mercati e il porto di Reggio era divenuto centro di traffico, meta ricercata dei più audaci commercianti.

Questo stato di cose dimostrò la potenza economica dei Giudei, per cui è logico che sia la Chiesa come il Comune desiderassero appropriarsi di quell’enorme tributo, vantando le più svariate pretese.

Da questo momento tutto concorre a ingelosire gli animi e a far mal vedere gli Ebrei, cominciano le prime lotte religiose, dando luogo, all’antisemitismo.

La Giudecca viene presa di mira ed ogni minima occasione serve ad esacerbare gli animi dei Reggini, anche perché, in gran parte, erano debitori degli Ebrei, usurai alquanto privi di qualsiasi scrupolo.

Gli Ebrei, accresciuti di numero, avevano raggiunto una tale condizione da poter gareggiare in tutti i settori col resto della popolazione.

La loro attività superava il loro angusto quartiere e si diffondeva velocemente anche all'interno delle mura, cercando di cogliere quel momento propizio onde esimersi da quello stato di inferiorità iniziale e partecipare anche essi all'amministrazione delle pubbliche cose.

Sotto il dominio svevo la lotta ad oltranza ingaggiata tra Cristiani ed Ebrei, era ancora all'inizio, infatti la questione assume un aspetto sempre più complicato sotto la dominazione angioina ed aragonese, finché, nel 1511, un regio decreto ordinò l'espulsione completa dei Giudei dalla Giudecca, il loro quartiere.

Infatti il Viceré Raimondo di Cardona, istigato dai vescovi, intercedette presso il re, Ferdinando di Aragona, affinché trovasse un rimedio al latente pericolo.

Sicuramente il problema fu enormemente esagerato tanto che il re pienamente convinto della colpa degli Ebrei, firmò velocemente il decreto di espulsione con gran sollievo della gente reggina, la quale si vedeva liberata dagli obblighi contratti con essi.

Ismaele, il più autorevole personaggio della comunità, prima della partenza, nominò suo procuratore in Reggio un tal Giulio Rigori, per la tutela dei beni immobili lasciati e per rappresentarlo in eventuali giudizi.

Ma una volta allontanatisi gli Ebrei, il loro quartiere, la Giudecca, fu data in concessione ai Cristiani; il resto fu venduto all'incanto, mentre i Reggini, per la loro bella vittoria, inneggiavano al loro re Ferdinando.

In un primo tempo, esaltanti, credevano di aver tratto guadagno, più tardi hanno dovuto completamente ricredersi.

I frutti delle attività economiche che gli Ebrei avevano avviato non venivano percepiti solo da essi, ma anche dagli altri cittadini che approfittavano del fiorente commercio per trarre guadagni.

Solo in seguito il popolo di Reggio seppe imitare e sfruttare le lucrose attività dell'altro popolo. In un certo senso si può dire che il posteriore sviluppo commerciale ed economico avuto in Calabria è dovuto ad una continuazione delle fatiche iniziate dagli Ebrei.

 

 

 

Gli ebrei a Reggio Calabria: una storia che parte da lontano, tra mito e realtà

di Elisa Latella

da Il Quotidiano della Calabria, del 4\7\2006

 

Aschenez, Giudecca. Nomi di vie che nella Reggio del 2006 sono note, frequentatissime, che fanno parte del centro storico della città dello Stretto. Però sono nomi che non richiamano né la civiltà greca né quella romana, né altri personaggi che hanno avuto rilievo nel "passato reggino" notoriamente conosciuto. 
Sono nomi che ricordano una storia che pochi conoscono: la storia degli Ebrei a Reggio. Una storia che parte da lontano, ma che continua ancora oggi a giudicare dai risultati di un giro veloce sul web, dal quale viene fuori anche l'esistenza di un sito "di amicizia tra la Calabria e Israele" in cui queste radici comuni vengono ricordate ed in cui ragazzi calabresi e ragazzi israeliani si mettono in contatto. 
Si comincia dalla leggenda secondo cui Reggio sarebbe stata fondata da Aschenez, nipote di Noé. Una leggenda senza alcun fondamento storico, ma che, ponendosi al confine tra realtà e fantasia, comunque può attestare una presenza di ebrei della nostra regione. 
A confermare questa presenza sono i resti della sinagoga, ricca di mosaici, rinvenuta alcuni anni fa presso Bova Marina e risalente al III/IV secolo d.C.: dopo quella di Roma, si tratta della più antica sinagoga occidentale. Dopo la distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito Vespasiano, l'Impero romano ha il completo dominio sul mondo. Gli Ebrei, che sfuggono all'eccidio dei romani, si sparpagliano: molti si stabiliscono nei luoghi più floridi dell' Italia meridionale. A Reggio esiste un importante cantiere navale, che insieme a quello di Pellaro, fornisce all'imperatore la flotta per il trasporto delle truppe in Oriente: gli ebrei si mescolano alla popolazione locale pacificamente e si garantiscono la libertà di culto, mediante un tributo speciale corrisposto prima all'Università e poi alla Chiesa Maggiore; di fronte alla popolazione locale tuttavia vengono considerati in uno stato di inferiorità. Dopo la venuta dei Normanni in Reggio, molti documenti provano la loro esistenza nelle nostre zone, tra cui la Giudecca, la zona limitrofa oltre la cinta delle mura reggine, che deve essere stata la prima loro sede. 
Nei primi anni del XV secolo gli Ebrei sono già sistemati in corporazioni, separati dai cristiani: i primi nuclei di Ebrei a Reggio abitano la parte nord della città in un loro quartiere fuori dalle mura, e la parte inferiore della città, rasente le mura occidentali. 
La porta detta Anzana è la loro unica entrata ed uscita per comunicare con la città dello Stretto. Ai primi scarsi nuclei, altri si aggiungono formando comunità numerose . A loro si deve la coltura dei gelsi, la manifattura della seta e l'arte di decorare i drappi. Arrivano i Normanni e con il progressivo sviluppo dell'artigianato e del commercio, cresce la ricchezza degli ebrei di Reggio ed anche l'invidia dei reggini. Sotto gli Svevi iniziano le controversie fra l'Università reggina e la Chiesa Maggiore, entrambi pretendenti alla riscossione dei tributi fiscali dei Giudei. 
La Giudecca reggina giunge al livello massimo dello sviluppo economico; le attività degli ebrei sono conosciute fuori dal loro angusto quartiere. La questione si complica sotto la dominazione angioina ed aragonese, finché, nel 1511, un regio decreto ordina l'espulsione completa dei Giudei dalla Giudecca, il loro quartiere. 
Tuttavia i frutti delle attività economiche che gli Ebrei avevano avviato venivano percepiti solo anche dagli altri cittadini: il la loro crescita era ricchezza per tutti ed il successivo sviluppo commerciale ed economico avuto in Calabria è dovuto ad una continuazione della strada tracciata dagli Ebrei. Il loro quartiere, la Giudecca, viene data in concessione ai cristiani; il resto viene venduto all'incanto. 
Durante il Medioevo gli ebrei in Calabria, arrivano ad essere circa il 10% della popolazione e a Reggio viene pubblicata la prima Torah a stampa, con il commento di uno dei grandi studiosi ebrei del Medioevo. Cinque secoli dopo gli ebrei torneranno nella regione alla punta dello stivale, nel campo di Ferramonti, il campo della salvezza, in cui grazie alle coscienze che il regime non era riuscito a piegare, scamperanno agli orrori dei campi di sterminio anche profughi, oppositori politici, e molti artisti. Infine, si legge nel sito Calabria- Israele: "Isolate presenze ebraiche si ritrovano in estate, quando la Riviera dei Cedri si riempie di rabbini che vengono con le loro famiglie a raccogliere i frutti necessari per la celebrazione della Festa delle Capanne. Questo gruppo mira , ripensando alla storia dei rapporti tra Calabria ed ebrei, a costruire un'amicizia tra la nostra regione e Israele, un legame di solidarietà con l'unica democrazia del Medioriente".

 

 

 

La seta di Reggio

da http://www.maridelsud.com/Nino/Seta/Index.htm

 

Nel reggino tutto lascia presupporre che l’arte della seta e del gelso sia stata introdotta dagli Ebrei, i quali giunsero a Reggio in due ondate diverse: la prima nel periodo successivo alla conquista di Gerusalemme da parte dei romani, la seconda al seguito dei Mori.

Gli Ebrei, quali abili maestri nell’arte del mercanteggiare e nella loro geniale industriosità, valorizzarono l’industria della seta e le attività ad essa connesse: allevamento del baco, coltivazione del gelso, fabbriche di tessuti, tintorie tra cui quella famosa dell'indaco, immessa sui mercati europei per la prima volta dai produttori reggini.

I tessuti serici prodotti a Reggio erano considerati tra i più pregiati. Rinomati erano quelli di Sambatello per la loro lucidità e resistenza alla trazione.

Grazie all’operosità degli Ebrei la città aveva un posto di rilievo nei traffici commerciali e lo stesso porto era, per questi motivi, frequentatissimo.

I commercianti di questa città, in massima parte ebrei, si accaparravano tutta la seta grezza, anticipando acconti ai produttori e saldando l'importo con uno sconto sulla tariffa fissata dall’università (l'odierno comune), il 22 luglio (detto Voce della Maddalena), .

Questi commercianti ebrei rivendevano la seta, quasi in regime di monopolio, nella fiera franca di agosto, direttamente ai mercanti Genovesi, Lucchesi e Veneziani.

Nel 1510 o 1511, gli ebrei vennero espulsi dalla città, si dice, ad opera dei mercanti Genovesi.

La tesi più accreditata è che i grossi proprietari locali, ritenendo di saper mercanteggiare anche loro e sperando di trarre gli stessi lauti guadagni degli Ebrei, fecero forti pressioni sul viceré, Raimondo di Cardona, il quale  emise un ordine di espulsione per i cittadini ebrei di Reggio.

Ben presto, però, l’incapacità dei produttori, improvvisati commercianti,  si fece sentire pesantemente: infatti la qualità dei prodotti dell’industria serica divennero scadenti e la quantità frammentata; sicché i grandi mercanti genovesi, lucchesi, pisani e veneziani furono costretti a rivolgere altrove la propria domanda.

Anche dopo la dipartita di questi grossi mercati, il commercio serico locale fu molto proficuo per chi lo esercitava sulla piazza ma le dimensioni, oramai, modeste e il porto cittadino poco attrezzato, non riuscì ad attirare più le navi straniere di grossa portata.

 

 

 

Risplenderà la sinagoga di Bova Marina

di Enza Cavallaro

da Il Quotidiano della Calabria, del 6\7\2006
 

Dopo anni di restauro il mosaico della "Sinagoga" di Bova Marina torna agli antichi splendori.
La "Sinagoga "di Bova Marina è una delle poche testimonianze certe degli insediamenti di comunità ebraiche nel meridione di Italia ed è l'unica sinagoga antica scoperta in Italia dopo quella di Ostia risalente al I° secolo d.C.
La Sinagoga di Bova Marina, sita in località "Delia" di San Pasquale, è venuta alla luce nel 1983 ed è riferibile al IV secolo d.C. Le fondazioni murarie appartengono ad un edificio orientato a Sud-Ovest composto da due nuclei principali e una terza parte che, in base alle tentate ricostruzioni, dovrebbe corrispondere all'accesso alla Sinagoga. 
Nella parte centrale sono stati rinvenuti, peraltro, alcuni resti di pavimentazione musiva, il che induce ad identificare il vano con l'"aula della Preghiera" dotata di una cavità nella parete semicircolare, dove veniva custodita la Torah,i due rotoli della Legge. Il mosaico della pavimentazione, rivela un simbolismo arricchito da preziosi decori, oltre al nodo di Salomone vi sono motivi vegetali e il candelabro a sette bracci con rami al posto di bracci a cui vengono infilati dei melograni posti alle estremità delle lucerne. Questo pavimento si trovava per restauro dal 1985 al museo di Reggio Calabria e per giorno 11 luglio è prevista la presentazione al pubblico alla presenza dell'ambasciatore di Israele e del rabbino capo di Roma Di Segni. La descrizione della sinagoga suddetta che si riferisce al IV secolo subisce, però, una trasformazione planimetrica nel IV°secolo d.C. La struttura venne infatti cambiata, vennero spianati i dislivelli di terreno, rasi al suolo i vani orientati a sud-ovest, abbattuti vari ambienti. L'"aula della preghiera" venne anch'essa modificata e parte della pavimentazione musiva fu rimossa. Nell'aula comparve un secondo mosaico posto all'interno della balaustra raffigurante il "nodo di Salomone" e l'edificio di culto si arricchì di nuovi ambienti. Nel vano posizionato a Nord gli scavi hanno portato alla luce un grosso contenitore di olio infossato nel terreno e soprattutto una brocca che infossata nel pavimento conteneva uno scrigno di 3070 monete bronzee. Sono comparsi, inoltre, i resti di un'antica necropoli e parecchie anfore d'argilla di manifattura ebraica, ciascuna delle quali è marchiata con un bollo che riproduce la "Menorah". La scoperta della sinagoga di Bova Marina ha, quindi, un valore storico archeologico importantissimo. Essa è una delle poche testimonianze certe degli insediamenti di Comunità ebraiche nel Meridione di Italia. Gli ebrei dell'antica Delia si stanziarono colà per motivazioni strategiche ed economiche. Delia era infatti, un centro di "statio" ossia una stazione che attraversava l'antica strada greco-romana e conduceva da Reggio Calabria a Taranto.

 

bottom of page