top of page

Shavei Israel

Gli ebrei “nascosti”. “Qualcuno ha accusato Israele di essere uno Stato apartheid, ma è l’esatto opposto. Siamo una Nazione multi-culturale, aperta, e – se secondo alcuni questo elemento costituisce una debolezza – dal nostro punto di vista, questa, è la nostra più grande forza»

 

 

Al Sud! Al Sud!

 

 

 

Negli ultimi quindici anni la gloabalizzazione delle idee, la ricerca storica, la consapevolezza identitaria e l’avventurosa mobilità di un certo tipo di mondo rabbinico ha spalancato, in Italia, la porte del mondo ebraico del Sud della penisola.

Un Sud che urla il proprio passato, a volte in maniera acerba, a volte in maniera conscia, a volte in altra maniera. Altra persino da se stesso.

Continuare a ripetere al mondo la storia degli anusim siciliani, calabresi, campani e pugliesi ha un senso solo se questa storia viene incanalata in un futuro, in un impegno ebraico reale ed internazionale, in un riconoscimento ebraico consapevole e duraturo, con profonde radici tra le bianche pietre di Trani, gli odori dei cedri di Calabria, i mandorli in fiore di Sicilia ma aprendo gli orizzonti identitari a Gerusalemme come a New York  e facendo in modo che ognuno degli anusim del Sud possa essere ebreo, intimamente e formalmente, in ogni sinagoga di ogni luogo del mondo.

Nel Sud Italia, in questi ultimi mesi o forse negli ultimi anni, abbiamo visto il nascere di paternità e maternità rabbiniche diverse: in molti si  sono offerti o scoperti primi fondatori, primi padri pellegrini dei percorsi di riscoperta delle radici degli anusim.

In molti hanno affermato di essere stati i primi, i primissimi, gli inimitabili archeologi delle identità ebraiche di Bari, Cosenza, Palermo, Catania, Piazza Armerina.

A tutti, proprio tutti, va la nostra gratitudine ma chi ha veramente a cuore le sorti del Sud non gioca al baseball di chi ha vinto la prima base o la prima sinagoga, bensì si impegna perché il signor David di Catania possa andare a Tel Aviv o Torino o Milano e dire semplicemente: “ Buongiorno sono ebreo” Senza dover passare atti formali di conversione, analisi di documenti poco chiari (dei quali lui non ha colpa, se non quella della fiducia estrema!) firme di probabili rabbanut valide per l’Oregon, il Missouri, il Montana ma nulla più. O forse nulla meno. Il Sud non può essere trattato come un West, non può trovarsi in guerra tra conquistadores, indiani, cow boy dell’halacha e lazzi del ghiur da un cavallo in corsa.

Questo non sarebbe rispettoso per l’Ebraismo italiano, l’Ucei, Shavei Israel e la Comunità di Napoli, ovvero le istituzioni che oggi si sono impegnate per una attenzione ed un sostegno reale al Sud Ebraico e non è  neancherispettoso per chi abita e vive il Sud ebraico. Non è rispettoso per chi vive seriamente lo Shabbat a Cosenza, a Reggio Calabria, a Palermo,  a Brindisi ed a Catania in situazioni di micro realtà ebraica e di macro sforzi che sono portatori di un tale e serio impegno da non meritare i lustrini di maghen david musicali ma sono richieste di impegni validi, istituzionali e dal vasto orizzonte.

Un vasto orizzonte che richiama anche il Sud alle proprie responsabilità, all’unione tra le componenti che lo caratterizzano, all’attenzione a non diventare solo folklore, alla maturità di una identità che da tradizione dovrà tornare ad essere popolo, nazione ebraica, non meno di quella che fu Livorno, non meno del serio ritorno degli ebrei delle Baleari, di Colombia, del Messico e della Polonia che sta riscoprendo se stessa.

Le antiche radici ebraiche del Sud sono una certezza per chi oggi è “baderech” in cammino verso casa, ma non sono una attrattiva turistica, né una fonte per matrimoni o per altre feste familiari per annoiati statunitensi. Fermo restando la grande bellezza del Sud ed il suo enorme potenziale turistico, non è certo questo che interessa chi è “baderech” e chi oggi studia  Torà per ricongiungere cinquecento anni di storia al futuro del popolo ebraico. A questo ricongiungimento dobbiamo educazione, seminari, incontri, formazione, studio, partecipazione. Alla serietà di queste radici antiche non possiamo e non vogliamo offrire violini, rose, cioccolato kasher e immagini romantiche dei passi di Doña Gracia Nasi.

Con questo articolo ho deciso di aprire questo blog in quanto responsabile di Shavei Israel in Italia, con un sguardo che come il conto dell’Omer di questi giorni ha ben impressi i passi verso il futuro ed è ben informato e ben consapevole del conteggio dei giorni che sono passati.

Buon cammino

Rav Pierpaolo Pinhas Punturello

Shavei Israel

 

L’attività di Shavei Israel – associazione, fondata dal Dott. Michael Freund, che si occupa di “scovare” i discendenti di ebrei sparsi per il mondo e di favorirne, eventualmente, la loro aliyah (rimpatrio) in Israele – ha infatti portato Freund a trovare radici ebraiche nei luoghi più impensabili.  «Tutto è cominciato più di dieci anni fa – ha spiegato – con una lettera arrivata negli Uffici del Primo Ministro Netanyahu, una lettera tutta stropicciata e proveniente dal Nord Est dell’ India». I mittenti erano i membri della tribù dei Bnei Menashe, i quali sostenevano di essere diretti discendenti di una delle Dieci Tribù perdute d’ Israele e chiedevano al Governo di ritornare a Sion. Quando – nel 1600 a.C. -  gli assiri invasero Israele, le Tribù furono disperse e i Bnei Menashe sarebbero stati i discendenti di coloro che riuscirono a spingersi fino alla regione indiana. «Come spesso accade con i politici, non ricevettero risposta.   Ma io decisi di incontrarli, nonostante fossi molto scettico riguardo ciò che affermavano». Una volta raggiunti, Freund si trovò di fronte a qualcosa di inaspettato. I Bnei Menashe credono in un unico Dio ed hanno tradizioni simili a quelle ebraiche: durante una delle loro feste, ad esempio, il sacerdote sacrifica un animale prendendone il sangue e spargendolo sulle porte…come fecero gli ebrei, uscendo dall’ Egitto. Una delle loro preghiere, la “Canzone di Miriam”, narra di antenati schiavi in Egitto. In caso di catastrofe naturale, inoltre, i membri della tribù escono dal villaggio e intonano – alzando le mani al cielo – una strofa: “noi figli di Menashe siamo ancora qui”, come a voler ribadire una tradizione ancestrale. «Negli ultimi quindici anni – ha spiegato Freund – abbiamo “riportato a casa” più di duemila membri dei Bnei Menashe. Ed abbiamo appena ottenuto il permesso di portarne in Israele altri 900». Dai filmati trasmessi durante la conferenza era ben visibile la commozione nei loro volti.

 

Parte dell’ attività di Freund consiste anche nel trovare gli “ebrei nascosti” della Polonia. Nascosti, perché – durante la Shoah – molti genitori affidarono i figli ebrei ad istituzioni cattoliche per salvarli. Molti dei genitori perirono durante lo sterminio, i figli invece divennero sopravvissuti. Ma, nemmeno durante il regime comunista, fu loro consigliabile svelare la propria identità dato il forte odio anti ebraico.  «Pochi mesi fa ho organizzato un incontro con questi “ebrei nascosti” della Polonia. La storia di uno di loro, Mariush, fu particolarmente commovente». Arrivati ai cancelli di Aushwitz, infatti, Mariush si rifiutò di entrare e cominciò a piangere. «Raccontò di essere un Cohen – discendente dei sacerdoti - e di non poter quindi entrare in quello che, di fatto, era diventato un cimitero. Mariush aveva più di 60 anni, ma aveva scoperto di essere ebreo solo quando ne aveva 51. Sul letto di morte, la madre gli aveva spiegato che la loro era una famiglia ebrea e che – cinque dei suoi zii – erano morti proprio ad Aushwitz». Avendo scoperto a 51 anni di essere ebreo, dunque, Mariush non aveva ancora avuto la possibilità di celebrare il suo Bar Mitzvah.  «Nonostante abbia continuato a ripetere, per molto tempo, di essere vecchio e di non aver bisogno della celebrazione…Mariush ha finalmente celebrato il suo Bar Mitzvah, in mia compagnia, ed è stata un’ esperienza emozionante per entrambi». Shavei Israel opera anche nel Sud Italia, dove si è scoperto che molte famiglie continuano a tramandare usanze appartenenti alla tradizione ebraica; ad esempio, l’ accensione delle candele in concomitanza dell’ inizio dello Shabbat. Non solo: l' Associazione è operativa anche in Sud America ed in Cina. Ad avere un' ascendenza ebraica, infatti, ci sono  gli Bnei Anousim della Colombia ed i cinesi dell' area di Kaifeng. Di tradizione ebraica anche alcuni abitanti dell' Amazzonia, discendenti da alcune famiglie nordafricane trasferitesi in Sudamerica in cerca di fortuna; alcuni portano ancora nomi come Cohen, Ben-Zaken o Ben-Shimon. Una comunità che, invece, non vanta origini ebraiche ma - a metà del Novecento - decise di convertirsi all' ebraismo...si trova nella città peruviana del Nord Cajamarca.  

 

«Ogni volta che incontro persone come i membri di Bnei Menashe dell’ India del Nord-Est, o uomini come Mariush – ha concluso Freund - sento, dentro di me, crescere una grande soddisfazione.  Sento un forte trasporto, derivante dal fatto che qualsiasi malvagio progetto di distruzione del popolo ebraico, dalle persecuzioni susseguitesi nel corso dei secoli, alla grande tragedia perpetrata da Hitler nella Seconda Guerra Mondiale, nient’ altro sono stati se non progetti fallimentari. Hitler ha fallito, perché gli ebrei sono ancora qui…in ogni parte del mondo, a volte nascosti, ma desiderosi di recuperare le proprie radici».

 

 

IL POPOLO D’ISRAELE E’ VIVO!

bottom of page